A cura di Luca Bertacchi, Regional Director Central and Southern Europe e Nicola Alvaro, Senior Wealth Planner
Le polizze unit linked hanno trovato ingresso nel panorama assicurativo agli inizi degli anni ‘80 e si sostanziano in forme assicurative caratterizzate dalla diretta dipendenza delle prestazioni assicurative dal valore di un’entità di riferimento. Ciò sta a significare che le prestazioni principali cui ha diritto il contraente o il beneficiario – ossia la somma corrisposta dall’impresa di assicurazione in relazione ai diversi eventi assicurati oppure nei casi in cui venga esercitato il diritto di riscatto – sono definite in funzione del valore che viene attribuito, di norma, dal disinvestimento delle quote del o dei fondi nei quali la polizza è collegata (per esempio il fondo interno assicurativo o l’OICR esterno).
Per comprendere al meglio tale tipologia di prodotti nel quadro di riferimento dei contratti assicurativi vita bisogna partire da un punto fermo: come indicato dall’allora ISVAP nel Quaderno n. 5, la “valuta” del contratto va inquadrata nella entità di riferimento (i.e. l’unità di conto di ciascun fondo) e il suo “importo” nel numero delle quote dei fondi sottostanti. Ne consegue, pertanto, che il premio versato dal cliente non è investito ma bensì “convertito” dalla valuta di denominazione del contratto (ad es. euro) nella valuta “quota”. Da qui il termine, per l’appunto, unit linked ossia “contratto collegato a quote” che per quanto semplice possa sembrare da un punto di vista concettuale, ha purtroppo dato adito nel tempo ad interpretazioni discordanti (e financo abusivi, in alcuni casi).
Aspetti che oggi sono da considerarsi del tutto remoti e non più attuali.
Di recente, infatti, le polizze unit linked sono state oggetto di una specifica molto importante che è stata introdotta dalla normativa sovraordinata europea. In particolare, non sono più da annoverarsi nella definizione domestica di “prodotti finanziari emessi da imprese di assicurazione” (insieme con i contratti di capitalizzazione di ramo V) ma Annuario AIPB 2019 409 nella più ampia famiglia, di origine marcatamente europea, dei “prodotti di investimento assicurativo” nel quale sono ricompresi anche i prodotti di ramo I e V (oltre alle c.d. multi-ramo). Una distinzione, questa, non soltanto concettuale ma anche squisitamente sostanziale vista l’annosa diatriba giurisprudenziale sorta dalla precedente definizione che inquadrava i soli prodotti di ramo III e V tra quelli finanziari e che ha interessato (e alimentato) il dibattito, nell’ultimo ventennio, sulla loro possibile disqualifica come prodotto assicurativo.
Problematiche che, come già anticipato, sono ormai da considerarsi interamente superate con il nuovo inquadramento (direi chiarificatore e questa volta di fonte legislativa) delle polizze unit linked nel genus dei prodotti di investimento assicurativi, ossia in quella categoria di prodotti che si caratterizzano per la componente investimento ma senza con ciò togliere o far venir meno la loro qualifica e natura geneticamente assicurativa.
Le unit linked come strumento di pianificazione patrimoniale e successoria
Il prodotto, come brevemente descritto nel precedente paragrafo, ha fatto proseliti nel mercato assicurativo e ha assunto un ruolo sempre più importante nel “portafoglio patrimoniale” della clientela private. Molto apprezzate dal mercato sono le spiccate doti di flessibilità che caratterizzano gli investimenti sottostanti alla polizza nonché l’alto tasso di “artigianalità” del prodotto che permette ai wealth planners di poter disegnare la struttura patrimoniale e successoria “su misura” delle esigenze del cliente finale.
Ma quali sono i segreti di un tale successo? Brevemente si possono sintetizzare nei punti che seguono.
È un (quasi) trust. La disciplina civilistica del contratto di assicurazione sulla vita permette di creare delle strutture che (volendo azzardare) non sono poi così distanti da quelli di un “trust del patrimonio mobiliare” con elevati gradi di flessibilità e adattabilità alle mutate esigenze dei clienti che si dovessero verificare in vigenza di contratto.
“Va in roaming”. Le unit linked sono un prodotto riconosciuto a livello normativo non soltanto europeo (che le introduce in un apposito ramo delle assicurazioni vita) ma anche a livello globale (basti pensare all’Asia e agli Stati Uniti – anche se conosciute sotto diversa terminologia in variable life, variable universal life o variable annuity – giusto per citarne alcuni). Questo aspetto permette al prodotto di poter mantenere i suoi benefici di tipo legale, regolamentare e fiscale – al verificarsi di determinate condizioni e salvo un’analisi caso per caso – qualora il contraente cambi la propria residenza da uno Stato ad un altro in corso di contratto
Ottimizzazione fiscale. Oltre alla rinomata esenzione da imposta di successione per gli importi pagati ai beneficiari di polizza, il contratto di assicurazione sulla vita di tipo unit linked permette un’efficienza fiscale per tutta la durata della polizza. In che modo? Limitandosi alla fiscalità domestica italiana, il principio cardine risiede nel c.d. tax deferral, ossia nel differimento dell’applicazione delle imposte sui redditi di capitale e dell’imposta di bollo soltanto a quelle ipotesi in cui si verifichi un 410 La pianificazione patrimoniale e successoria con la polizza unit linked effettivo pagamento delle somme assicurate al contraente (in caso di riscatto) o ai beneficiari di polizza (in caso di pagamento della prestazione assicurativa). In tutti gli altri casi, qualsiasi attività di investimento/disinvestimento non si inquadra come attività fiscalmente rilevante (e quindi non è soggetta ad alcuna imposta). Gli effetti prodotti dall’applicazione in concreto di tale principio si individuano nel c.d. interesse composto, ossia in quel fenomeno di crescita del capitale dovuto al reinvestimento delle somme disinvestite, ma con un ulteriore valore aggiunto: il tax deferral permette di amplificare tale fenomeno in quanto il reinvestimento delle somme disinvestite ha luogo in un “ambiente” sottoposto a neutralità fiscale, quindi senza l’applicazione di eventuali imposte (sono comunque fatte salve eventuali ritenute alla fonte trattenute in caso di pagamento di interessi o stacco cedole).
Flessibilità degli investimenti. Il contraente ha la possibilità di modulare il profilo di rischio della polizza mediante la modifica degli investimenti ai quali la unit linked è collegata. E qui un aspetto dirompente è svolto dalle polizze di private insurance lussemburghesi, ossia prodotti unit linked che grazie alla normativa lussemburghese in materia di investimenti permettono di riservare una parte dell’asset allocation ad attivi non tradizionali quali hedge funds, fondi chiusi immobiliari e/o di private equity. Tutto ciò sempre nel rispetto del profilo e dell’orizzonte di investimento del contraente e con la necessaria assistenza di un servizio altamente specializzato che deve esser garantito dalla compagnia di assicurazione: infatti, l’amministrazione e la gestione di questa categoria di attivi necessita di una business unit interna dedicata composta da un team di esperti in grado di capire le dinamiche e le peculiarità a questi connesse, che sia dotato della necessaria esperienza e che sia in grado di intervenire su qualsiasi opportunità di investimento a livello globale.
L’applicazione pratica ad un caso concreto
Emilia e Andrea:
i. Sono una coppia svedese dello stesso sesso appena trasferite in Italia e legate dal vincolo della convivenza. Sono Millennial e lavorano nel campo della moda;
ii. Hanno un reddito elevato e un patrimonio mobiliare rilevante. Emilia lo ha ereditato da un suo ascendente. Andrea lo ha ricevuto recentemente dai suoi genitori che previgentemente (e diligentemente) hanno pianificato in anticipo la loro successione in Svezia;
iii. Sono alla ricerca di una soluzione che gli permetta di poter pianificare un investimento di medio/lungo periodo, che non debba essere “smantellato” nel caso in cui decidano un giorno di ritornare nella loro amata Svezia e che possa ottimizzare la loro successione.
Di seguito vedremo come i tre fattori di successo menzionati nel precedente paragrafo permettono di soddisfare le esigenze di Emilia e Andrea.
Innanzitutto, l’assicurazione sulla vita può essere considerata una vera e propria “panacea” per la pianificazione successoria dei conviventi.
Da un punto di vista successorio, infatti, il convivente non può essere considerato come un coniuge (o unito civilmente): oltre al diritto di abitazione della casa comune, di succedere nel contratto di locazione e di ricevere l’eventuale risarcimento del danno nel caso in cui il convivente premuoia per una causa derivante da fatto illecito, il convivente ancora in vita non può vantare gli altri diritti che sono invece riconosciuti al coniuge (o all’unito civilmente). Tra tutti, il più importante è quello di non poter essere considerato un erede legittimo e pertanto di non poter essere destinatario di una quota dell’attivo ereditario che per legge è riconosciuta a chi è da considerarsi “legittimario”. L’istituto del testamento è sempre possibile, ma il diritto del convivente si limiterebbe soltanto alla quota disponibile (ossia quella quota dell’attivo ereditario di cui il testatore può disporne liberamente senza che vengano lesi i diritti dei legittimari). Per non contare anche gli effetti fiscali che derivano da un tale contesto: non essendo coniuge o unito civilmente, il convivente sopravvissuto soffrirebbe l’applicazione dell’aliquota massima prevista ai fini dell’imposta di successione (ossia, l’8% senza franchigia).
L’assicurazione sulla vita permetterebbe di ovviare a tutte queste lacune in virtù dell’esenzione da imposta di successione sulle somme pagate ai beneficiari e dal fatto che la quota disponibile sarebbe limitata ai soli premi pagati in polizza (infatti il rendimento di polizza è escluso e non è può essere oggetto di alcuna “pretesa” da parte dei legittimari).
Di non secondaria importanza, la sua semplicità sia in fase di sottoscrizione che di successivo utilizzo. Oltre al requisito della forma scritta del contratto (ai sensi dell’art. 1888 cod.civ. e della normativa di riferimento applicabile), non sono previsti altri adempimenti in capo al sottoscrittore per l’emissione della polizza e per la sua successiva gestione (no a scritture private autenticate o atti pubblici, assenza di formalità pubblicistiche). Il contraente potrà, inoltre, designare e modificare i beneficiari di polizza in qualsiasi momento prima del verificarsi dell’evento ma anche cedere o mettere a pegno i diritti rinvenienti dalla polizza in favore di un istituto di credito per garantire l’accensione di un finanziamento.
Da un punto di vista della strutturazione, Emilia e Andrea potrebbero:
- stipulare due polizze in cui ciascun convivente è anche assicurato mentre il beneficiario è l’altro convivente. In tale circostanza, alla premorienza di uno dei due conviventi il convivente sopravvissuto riceverebbe la prestazione assicurativa; oppure
- stipulare una polizza in cui entrambi i conviventi sono sia contraenti che assicurati. La peculiarità di questa struttura è che l’evento assicurato che generà il pagamento della prestazione ai beneficiari sarebbe da individuarsi alla premorienza del primo tra i due assicurati. Ma chi sarebbe il destinatario della prestazione? Considerato che lo strumento polizza permette anche la designazione di beneficiari che siano almeno determinabili, si potrebbe individuare l’assicurato sopravvissuto come beneficiario. Quindi, alla premorienza del primo tra i due conviventi, il convivente ancora in vita riceverebbe la prestazione assicurativa.
Tra le due strutture, la prima struttura fornisce molta più flessibilità in quanto se la convivenza dovesse terminare (l’amore è eterno finché dura, diceva qualcuno), il contraente di polizza avrebbe sempre il diritto di modificare il beneficiario in corso di contratto (magari con un altro convivente, chissà). Nella seconda struttura, invece, si inquadrerebbe qualche criticità in quanto gli assicurati rimarrebbero sempre i due originari conviventi.
Da un punto di vista della strutturazione patrimoniale, qui la normativa lussemburghese consentirebbe un maggior grado di flessibilità. Infatti, in entrambe le strutture poc’anzi illustrate, la polizza di private insurance “lussemburghese” potrebbe investire in un fondo interno assicurativo che permetterebbe non soltanto di offrire il più alto grado di segregazione riconosciuto dal diritto lussemburghese (il c.d. triangolo della sicurezza) ma anche un elevato grado di personalizzazione nella gestione del patrimonio. Infatti, in considerazione dell’orizzonte di investimento di medio-lungo periodo, la strategia potrebbe anche prevedere l’impiego di asset alternativi quali uno o più fondi di private equity.
A ciò si aggiunga che le polizze dei due conviventi (nel caso della prima struttura) potrebbero investire nello stesso fondo interno assicurativo senza che da questo possa conseguire un minor grado di flessibilità: infatti in caso di scioglimento della convivenza, i due ex-conviventi resterebbero sempre contraenti delle due polizze potendo anche scegliere di disinvestire dal fondo interno, fino ad allora “condiviso”, per “switchare” (i) su altro fondo interno assicurativo, questa volta personalizzato sulle base delle caratteristiche e dei bisogni di investimento del convivente ormai “single”, o (ii) su altro fondo interno “condiviso” con la polizza del futuro partner, nuovo convivente.
E nel caso in cui Emilia e Andrea dovessero un giorno decidere di ritornare nella madre Patria, la polizza continuerebbe ad offrire i suoi vantaggi (questa volta parametrati alla normativa svedese applicabile) senza che i due conviventi siano costretti a cessare prematuramente la polizza.
Da quanto precede, si può facilmente comprendere come la polizza di private insurance “lussemburghese” permetta di far fronte alle nuove esigenze dei conviventi per tutta la durata della loro relazione offrendo anche massima flessibilità e “semplicità d’uso” nel caso in cui la convivenza dovesse un giorno, ahimè, interrompersi.