In una recente sentenza di un giudice di prime cure (sentenza Trib. Brescia del 13/06/2018), il tribunale ha osservato come "anche le polizze di ramo III unit linked, caratterizzate dal fatto che il loro rendimento dipende dall’andamento dell’investimento sottostante in quote di OICR o fondi interni, rientrino a pieno titolo nella nozione di contratto assicurativo sulla vita, deponendo in tal senso numerosi riferimenti normativi, a cominciare dal REGOLAMENTO (UE) N. 1286/2014, relativo ai documenti contenenti le informazioni chiave per i prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati (c.d. “Regolamento PRIP”), che all’art. 4 definisce “prodotto di investimento assicurativo: un prodotto assicurativo che presenta una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato”. In altre parole la norma europea, applicabile dal 31 dicembre 2016, considera “prodotto di investimento assicurativo” una polizza il cui valore è influenzato dalle oscillazioni del mercato, ossia un prodotto in cui il rischio di investimento è a carico del sottoscrittore.

È evidente pertanto come, ai sensi della disciplina sovranazionale direttamente applicabile, l’assenza di una garanzia di restituzione del capitale investito non costituisca elemento ostativo alla qualificazione del contratto come assicurativo. Parimenti la DIRETTIVA (UE) 2016/97 sulla distribuzione assicurativa, in via di recepimento, definisce “prodotto di investimento assicurativo: un prodotto assicurativo che presenta una scadenza o un valore di riscatto e in cui tale scadenza o valore di riscatto è esposto in tutto o in parte, in modo diretto o indiretto, alle fluttuazioni del mercato”.

Invero, ad avviso di questo Tribunale, la funzione previdenziale di un investimento non può farsi discendere sic et simpliciter dalla sussistenza di un rendimento garantito ovvero dall’assenza di un rischio di investimento in capo al sottoscrittore: ragionando in questi termini, infatti, si finirebbe paradossalmente per negare la funzione previdenziale anche alle forme di previdenza complementare (e in una certa misura persino al sistema pensionistico obbligatorio, nella forma oggi assunta), posto che nell’ambito di tale sistema la garanzia del rendimento è meramente eventuale e il rischio di investimento incombe sul sottoscrittore, le cui quote presentano un valore soggetto alle oscillazioni del mercato.

Preso atto che la promessa di un capitale garantito non può, nell'attuale assetto macroeconomico, assurgere di per sé a discrimen della natura di un investimento, altri dovrebbero essere gli elementi da valorizzare al fine di individuare una causa assicurativa ovvero previdenziale e così distinguerla da un investimento “schiettamente” finanziario: nel primo caso (copertura assicurativa), occorre verificare se sussiste l’assunzione da parte della compagnia assicurativa di un rischio demografico, che presuppone valutazioni a carattere statistico-attuariale e conduce, sotto il profilo prudenziale, all’appostamento di riserve tecniche in bilancio; nel secondo caso (copertura previdenziale), risulta significativo – tra l'altro - l’esame dell’orizzonte temporale dell’investimento, che dovrebbe tendenzialmente coincidere con la durata della vita lavorativa.

13. Alla luce di quanto sopra osservato non sussistono ragioni per escludere l’applicabilità alla polizza in esame dell’art. 1923 c.c., la cui ratio, consistente nel favor legislativo per gli investimenti privati con finalità assicurativa e lato sensu previdenziale, a sostegno del welfare pubblico (cfr. Cassazione civile, sez. un., 31/03/2008, n. 8271), è pienamente estendibile al prodotto in questione, che mira al perseguimento di obiettivi analoghi.